SOCIETA' CAPITANI E MACCHINISTI NAVALI - CAMOGLI |
L'operazione "Grog" |
Il bombardamento navale di Genova del 9 febbraio 1941, effettuato dalle unità della “Forza H” al comando dell'amm. Somerville: l'interpretazione britannica del “command of the sea” nel Mediterraneo occidentale e le manchevolezze dello strumento aeronavale italiano poche settimane prima di Matapan Articolo pubblicato sul n. 161 (Febbraio 2007) della rivista 'Storia Militare' e riprodotto per gentile concessione della Casa Editrice Albertelli". *** (Questa pagina è ricca di immagini dettagliate: pazientate qualche istante mentre si caricano. Grazie) La portaerei HMS Ark Royal vista da bordo della corazzata HMS Malaya durante la navigazione verso Genova. (Foto imperial War Museum IWM 4037 via A. De Toro) Nel corso della seconda guerra mondiale, il Mar Ligure ha costituito un teatro operativo quasi di secondo piano: infatti, non sono molti gli eventi navali di rilievo che hanno avuto luogo nel Golfo di Genova e nelle acque limitrofe, e – tra il 1940 e il 1943 – le potenzialità industriali e cantieristiche della Liguria ebbero sicuramente preminenza rispetto ad aspetti più propriamente bellici ed operativi. In realtà, il 14 giugno 1940, dopo soli quattro giorni dall'entrata in guerra dell'Italia, quattro incrociatori ed undici cacciatorpediniere francesi – usciti da Tolone – erano giunti di sorpresa di fronte alle zone industriali di Savona-Vado e Genova effettuando un breve bombardamento. La pronta reazione delle batterie costiere, dei treni armati della Regia Marina e l'intervento della torpediniera Calatafimi costrinsero al ritiro la squadra francese che, sulla rotta di rientro, fu anche attaccata dai Mas della 13 a Squadriglia ( 1 ). L'armistizio tra l'Asse e la Francia, tuttavia, rese le acque liguri molto più tranquille e – nel contempo – la Regia Marina e la Royal Navy furono subito coinvolte nella protezione diretta e indiretta dei propri traffici convogliati, su rotte la cui natura rendeva inevitabile il confronto tra le due flotte nel Canale di Sicilia, nelle acque libiche, nella zona di Malta e nel Mar Ionio ( 2 ). Se allo scontro di Punta Stilo la Regia Marina poteva allineare due sole corazzate ( Giulio Cesare e Conte di Cavour ), all'inizio dell'autunno del 1940 la squadra da battaglia italiana era forte di sei unità, con il rientro in servizio dell' Andrea Doria e del Caio Duilio successivo a un lungo periodo di lavori di rimodernamento, e la piena operatività delle nuove “35.000” Vittorio Veneto e Littorio. Questo consistente e omogeneo gruppo di unità maggiori costituiva una notevole fonte di preoccupazione per i vertici della Mediterranean Fleet: fu pertanto pianificato l'attacco contro la base di Taranto nel corso del quale, la notte sul 12 novembre 1940, gli aerosiluranti “Swordfish” della portaerei Illustrious danneggiarono le corazzate Littorio , Duilio e Cavour . I lavori di riparazione del Littorio si svolsero presso l'Arsenale di Taranto, mentre il Duilio – rimesso in condizioni di galleggiabilità ai primi di gennaio 1941 – raggiunse Genova il 28 gennaio venendo subito immesso in bacino per il completamento del raddobbo. Il Cavour , danneggiato molto più gravemente, fu trasferito a Trieste ma – all'atto della proclamazione dell'armistizio l'8 settembre 1943 – i lavori di ricostruzione erano ancora ben lontani dall'essere terminati ( 3 ). Le tre restanti corazzate efficienti ( Veneto , Doria e Cesare ) furono dislocate prima a Napoli e poi alla Spezia, per allontanarle dalla minaccia costituita dall'aviazione navale inglese, ma i loro movimenti erano seguiti – sia pure con precisione non assoluta – dalla ricognizione e dai servizi informativi della Marina britannica. Verso la fine di gennaio del 1941, difatti, la Royal Navy riteneva che a Genova si trovassero ai lavori il Littorio e il Cesare ; in realtà si trattava invece del Duilio e del Cesare , ma quest'ultimo si trasferì alla Spezia ai primi di febbraio, raggiungendo colà il Veneto e il Doria . L'incrociatore da battaglia HMS Renown , in primo piano, e l'incrociatore HMS Sheffield in navigazione nel Mediterraneo occidentale l'8 febbraio 1941. (Foto imperial War Museum IWM 4033 via A. De Toro) Da qualche tempo, considerati gli ottimi risultati conseguiti nella “Taranto Night”, i Comandi della Royal Navy stavano meditando di realizzare una nuova azione di notevole effetto dimostrativo, oltre che militare, contro un obiettivo costiero italiano. Nei comandi britannici iniziò quindi a maturare la convinzione che convenisse attaccare un porto nel Tirreno per dare l'impressione alla Regia Marina che neppure le nostre basi nella zona potessero essere ritenute sicure, e la città di Genova fu prescelta come obiettivo di un bombardamento navale per molteplici motivi. Innanzitutto, le strutture industriali della città ne facevano un obiettivo di grande importanza dal punto di vista economico, militare e psicologico; le difese costiere di Genova risultavano di entità poco temibile e – in ultimo - i grandi fondali del Golfo Ligure, fin sotto la costa, avrebbero permesso alle navi di avvicinarsi a distanza utile di tiro, senza correre il rischio di incappare in campi minati. La presenza a Genova di due corazzate italiane fu nota a Gibilterra solamente alla fine di gennaio (anche se, come abbiamo visto, dall'inizio di febbraio nel porto ligure si trovava il solo Duilio ) e – a differenza di quanto affermato nel dopoguerra anche da una certa memorialistica britannica – non costituì l'elemento principale nella pianificazione di un'azione dalle preminenti valenze emozionali e strategiche, compresa una “dimostrazione di forza” nei confronti della Spagna franchista, allo scopo di farne perseverare la politica di neutralità. La rotta seguita dalla “Forza H” nel corso dell'operazione “Grog”. Linea continua: rotta di andata – Linea tratteggiata: rotta di ritorno. La “Forza H” (costituita dalla corazzata Malaya , dall'incrociatore da battaglia Renown , dall'incrociatore leggero Sheffield , dalla portaerei Ark Royal e da dieci cacciatorpediniere) lasciò Gibilterra il 31 gennaio 1941. Il gruppo navale fece rotta a Sud delle Baleari, con il duplice obiettivo di un attacco alla diga del Tirso in Sardegna con bombardieri ed aerosiluranti (il mattino del 2 febbraio), e del bombardamento navale di Genova il giorno successivo. Come previsto dal piano di operazioni, otto velivoli dell' Ark Royal attaccarono la diga del Tirso alle 08.00 del 2 febbraio (senza tuttavia conseguire risultati di rilievo), ma le condizioni meteo in forte peggioramento sconsigliarono il proseguimento della missione, e le unità britanniche – sempre transitando a Sud delle Baleari – fecero rientro a Gibilterra nella tarda serata del 3 febbraio. L'Ammiragliato predispose, con partenza il 6 febbraio, la ripetizione della missione, denominandola “Grog”, in accordo alla tradizione navale britannica che – durante la seconda guerra mondiale – assegnava ad ogni operazione un nome in codice scelto tra un'onomastica quanto mai varia e differenziata ( 4 ). L'operazione “Grog” fu studiata con modalità esecutive che ne garantissero quanto possibile la segretezza e, nella fattispecie, le unità della “Forza H” (le stesse che avevano preso parte all'azione contro la diga del Tirso) furono suddivise in tre gruppi, con finta partenza in ore diurne verso l'Atlantico, simulando la protezione di un convoglio diretto in Gran Bretagna che si stava riunendo a Gibilterra. Tanto all'andata quanto al rientro era previsto il passaggio a Nord delle Baleari, con un itinerario del tutto nuovo e difficilmente presumibile da parte italiana; infine, il bombardamento navale di Genova avrebbe avuto la preminenza, con un attacco secondario degli aerei dell' Ark Royal sulla raffineria petrolifera di Livorno. Le unità britanniche uscirono dalla base di Gibilterra nel pomeriggio del 6 febbraio 1941, apparentemente impegnate nella scorta di un convoglio effettivamente diretto in Inghilterra. tra le 12.00 e le 14.00 lasciarono il porto i cacciatorpediniere del Gruppo 2: Fearless (capo squadriglia) ( 5 ), Foxhound , Foresight , Fury , Encounter e Jersey , che diressero verso levante come se avessero dovuto effettuare un'esercitazione o un pattugliamento antisom Alle 13.30 lasciò la rada il convoglio, composto da 16 mercantili e 9 siluranti, diretto in Inghilterra. Alle 17.00 partirono il Renown , il Malaya , lo Sheffield e l' Ark Royal (Gruppo 1), insieme ai cacciatorpediniere del Gruppo 3 ( Duncan , Isis , Firedrake e Jupiter ). I cacciatorpediniere del Gruppo 2, dopo aver effettuato una ricerca antisom nello stretto di Gibilterra, diressero verso il punto di riunione con le altre unità della “Forza H”, previsto a Nord di Maiorca per le 08.30 dell'8 febbraio. Le unità dei Gruppi 1 e 3, una volta entrate in Atlantico, invertirono la rotta, ripassarono isolatamente lo stretto durante la notte e si riunirono circa 55 miglia a levante di Gibilterra verso le 04.00 del 7 febbraio. Alle 19.25 dello stesso 7 febbraio accostarono verso Nord/Nord-Ovest per passare tra Ibiza e Maiorca riunendosi, nella mattinata dell'8 con il primo gruppo di ct. I caccia Jupiter e Firedrake furono distaccati a levante di Maiorca con l'ordine di effettuare trasmissioni r.t. che, se intercettate e radiogonometrate, avrebbero potuto trarre in inganno i Comandi italiani sull'itinerario realmente seguito dalla “Forza H” (il che, peraltro, non avvenne). Nelle prime ore dell'8 la “Forza H” accostò verso Nord-Est attraversando, con questa direttrice, il Golfo del Leone per trovarsi, alle 03.00 del 9 febbraio, una cinquantina di miglia a Sud di Hyeres. Da qui, la rotta delle unità inglesi proseguì per 70° in modo da raggiungere, attorno alle 06.00, una zona a Sud-Ovest del punto medio della congiungente Capo Corso / Genova. Un'immagine rara ed eccezionale: il Renown , ripreso dall'interno del torrione di comando della corazzata Malaya , mentre apre il fuoco durante il bombardamento navale di Genova. Si tratta, probabilmente, dell'unico documento fotografico raffigurante unità inglesi durante l'azione del 9 febbraio 1941. La formazione era composta dal Renown (capofila e nave ammiraglia), seguito da Malaya e Sheffield , con due cacciatorpediniere di scorta sul lato dritto (verso terra) e tre su quello sinistro. (Foto Imperial War Museum A4046, g.c. Biblioteca “A. Maj”, Bergamo, Fondo “Occhini”). Alle 05.00 la portaerei Ark Royal (scortata dai ct. Duncan , Isis ed Encounter ) iniziò a manovrare autonomamente e, alle 06.00 raggiunse un punto equidistante (70 miglia) dalla Spezia e da Livorno e procedette al lancio di 14 “Swordfish” che effettuarono il previsto bombardamento della raffineria di Livorno e il minamento degli accessi al Golfo della Spezia. Il Renown , il Malaya e lo Sheffield , scortati dai cinque cacciatorpediniere residui, accostarono verso Nord in modo da trovarsi, alle 07.52, ad una dozzina di miglia a Sud del promontorio di Portofino. Dopo aver fatto il punto, le navi ridussero la velocità a 18 nodi e accostarono per 290°. Su questa rotta, tra le 08.14 e le 08.45 del 9 febbraio 1941, avvenne l'azione di fuoco: alcune variazioni di rotta fecero sì che il bombardamento iniziasse ad una distanza di 19.000 metri, terminando a 21.200 metri e passando per la distanza minima di 16.200 metri alla trentesima salva del Renown . Contro Genova furono sparati 125 proietti da 381 mm e 400 da 114 mm dal Renown ; la Malaya sparò 148 colpi da 381 mm ( 6 ), mentre 782 furono i proietti da 152 mm dello Sheffield . In totale, circa 200 tonnellate di acciaio ed esplosivo si abbatterono sul capoluogo ligure. Anche se, come già abbiamo avuto modo di rilevare, l'operazione “Grog” fu pianificata soprattutto con valenze strategiche riconducibili anche a situazioni di “guerra psicologica”, non va dimenticato che la città di Genova costituiva comunque una agglomerato rilevante di obiettivi molto importanti dal punto di vista portuale, cantieristico e industriale. Innanzitutto lo stesso porto, da sempre fulcro dell'economia cittadina: alle calate ed agli accosti del “Porto Vecchio” e del “Bacino della Lanterna”, all'inizio degli anni Trenta era stato aggiunto il “Bacino di Sampierdarena”, protetto da una diga foranea di nuova costruzione e comprendente i Ponti Canepa, Libia, Somalia, Eritrea ed Etiopia. Nel 1941, come del resto anche oggi, importanti installazioni nell'ambito portuale di levante erano costituite dai bacini nella zona del Molo Giano, dagli accosti petroliferi di Calata Canzio, e dalla centrale elettrica situata ai piedi della Lanterna. A ponente della foce del Polcevera si trovavano l'area industriale ed i cantieri navali della Società Ansaldo anche se, abbastanza stranamente, questi ultimi non furono colpiti con continuità dal fuoco britannico. Un idro “Walrus” in decollo dalla catapulta di una nave britannica. Infine, nella valle del Polcevera (tra Rivarolo e la foce del torrente) erano riunite numerose fabbriche, depositi petroliferi e di materiali, officine ed altre installazioni industriali che, di per se', costituivano – dopo il porto – il gruppo di obiettivi più importanti dell'ambito genovese, e la concentrazione in una zona sostanzialmente ristretta di queste strutture facilitò sicuramente la conduzione e la direzione del tiro, contro di esse, da parte delle unità britanniche. Poco meno del 50% dei proietti da 381 e 152 mm cadde in acqua; circa un terzo colpì la città, con particolare addensamento sulle zone del porto e della Val Polcevera. I colpi da 114 mm del Renown furono invece diretti verso la zona del Molo Principe Umberto ( 7 ), ma la loro concentrazione nel breve periodo in cui il Renown si trovò a distanze intorno ai 16.000 metri (prossime alla gittata massima dei cannoni di questo calibro) impedì la corretta osservazione dei punti di caduta. Il bombardamento non colpì obiettivi militari; in effetti, l'unico bersaglio di questo tipo era costituito dalla nave da battaglia Caio Duilio ai lavori nella zona bacini del porto, ma nessun proietto raggiunse questa unità. I danni subiti dalle unità mercantili presenti in porto furono minimi. Due colpi (di cui uno di grosso calibro) raggiunsero il piroscafo Salpi , che peraltro non affondò; un altro piroscafo – il Garibaldi – si trovava a secco in un bacino di carenaggio e riportò alcuni squarci nella carena; la nave scuola Garaventa (ex incrociatore-torpediniere Caprera del 1894), fu l'unica unità affondata durante il bombardamento navale. In aggiunta alle industrie della Val Polcevera, nell'ambito portuale i proietti britannici raggiunsero soprattutto i ponti Somalia ed Eritrea, la darsena a levante di Ponte Parodi (attuale zona dell'Acquario), i Magazzini del Cotone e la zona dei bacini al Molo Giano. Bombardamento navale di Genova (aree tratteggiate: zone ove si registrò una maggior concentrazione dei punti di caduta dei colpi britannici) Pressochè nulla la reazione delle difese costiere dell'area genovese, come ebbe modo di evidenziare anche l'amm. Somerville nella sua relazione sull'operazione “Grog” ( 8 ). Un bombardamento effettuato in breve tempo, da una distanza non certo ravvicinata, e condotto più “per zone” che per obiettivi specifici non poteva non causare danni anche alle aree residenziali ed abitative della città. Si dovettero registrare danni, anche gravi, in tutta la porzione del centro compresa tra la foce del Bisagno, la congiungente Brignole-Corvetto e la Stazione Principe; anche Sampierdarena fu colpita, nella zona prospiciente l'attuale Lungomare Canepa. Il proietto britannico da 381 mm che il 9 febbraio 1941 colpì, senza esplodere, la cattedrale di San lorenzo a Genova. La presenza, in basso a sinistra, del “cappuccio” dell'ordigno lo identifica come una granata perfoprante, tuttora conservata nel luogo di culto con accanto una lapide commemorativa dell'evento. Più nel dettaglio, subirono danni di varia natura la Cattedrale di S. Lorenzo, l'Ospedale Galliera e la Biblioteca “Berio”, Piazza Manin e Via Galata. Circa 250 case furono distrutte, e tra la popolazione civile si dovettero registrare 144 morti, 272 feriti e circa 2.500 senzatetto. Infine, come previsto dal piano britannico, gli aerei (soprattutto Fairey “Swordfish”) dell' Ark Royal attaccarono Livorno e La Spezia. Nella città toscana fu colpita la locale raffineria petrolifera, ma due velivoli – per un errore di rotta – colpirono la stazione ferroviaria e l'aeroporto di Pisa. I quattro aerei che attaccarono La Spezia sganciarono alcune mine nei pressi delle entrate del Golfo delimitate dai due estremi della diga foranea ( 9 ). Un palazzo di Piazza Cavour, distrutto da un proietto da 381 mm, in una foto scattata – probabilmente – nel primo pomeriggio del 9 febbraio 1941. (Archivio “Il Secolo XIX”) Terminata l'azione di fuoco, le navi inglesi diressero per 180° al fine di ricongiungersi con il gruppo dell' Ark Royal circa 35 miglia a Sud di Vesima. Sin qui, i movimenti della “Forza H” che – seguendo sostanzialmente la stessa rotta dell'andata ma passando a Nord di Ibiza – fece rientro a Gibilterra nel tardo pomeriggio dell'11 febbraio. In precedenza, alle 10.15 del 10 febbraio, i ct. Jupiter e Firedrake – rimasti presso le Baleari – si erano riuniti alla squadra. Tuttavia, l'uscita delle navi inglesi da Gibilterra il precedente 6 febbraio era stata subito comunicata a Roma dai nostri informatori nella zona ( 10 ), con l'esatta indicazione delle ore e dei nomi delle unità e, nonostante che le apparenze facessero prospettare una partenza verso l'Atlantico, Supermarina ritenne – correttamente – che durante la notte il grosso della “Forza H” avrebbe fatto rientro nel Mediterraneo. L'Ufficio Piani e Operazioni di Supermarina diramò, pertanto, una serie di disposizioni che avrebbero consentito il dispiegamento di numerose unità per fronteggiare un'azione navale inglese, tanto rivolta a colpire obiettivi in Sardegna quanto, eventualmente, posti anche più a settentrione, nella zona del Mar Ligure. Fu ordinata la partenza da Messina degli incrociatori della 3 a Divisione ( Trento , Trieste e Bolzano ) agli ordini dell'amm. Sansonetti e le tre unità, scortate da altrettanti cacciatorpediniere, salparono alle 07.00 dell'8 febbraio. Nella serata dello stesso giorno, le navi da battaglia Vittorio Veneto , Giulio Cesare e Andrea Doria della 5 a Divisione (al comando dell'amm. Jachino, comandante superiore in mare) lasciarono La Spezia scortate dai sette cacciatorpediniere della 10 a e della 13 a Squadriglia. Movimenti navali del 9 febbraio 1941. La Regia Aeronautica e il Comando Marina di Cagliari avevano nel frattempo predisposto, nel corso di tutta la giornata dell'8, una serie di ricognizioni aeree ad Ovest della Sardegna che – tuttavia – non consentirono l'individuazione della “Forza H” la quale, come abbiamo visto, si trovava in navigazione più a Nord. In assenza di precise indicazioni sui movimenti della “Forza H”, le tre corazzate della 5 a Divisione (uscite dalla Spezia) e gli incrociatori della 3 a Divisione (provenienti da Messina) si riunirono – insieme a 10 cacciatorpediniere di scorta – a Nord dell'Asinara alle 08.00 del 9 febbraio 1941. Ebbe inizio, a questo punto, una serie (sotto alcuni aspetti quasi incredibile) di avvenimenti, sfortunati ritardi e inconvenienti che – per i più svariati motivi – non rese possibile l'intercettazione della “Forza H” da parte delle unità italiane, precludendo così la possibilità di uno scontro che, vista la relatività delle forze in campo, avrebbe potuto avere esiti molto favorevoli per la Regia Marina. Le ricognizioni aeree, innanzitutto, “coprirono” una zona posta più a Sud del Mar Ligure, nella presunzione che la “Forza H” si trovasse in mare per la protezione indiretta di un convoglio in navigazione tra Gibilterra a Malta ( 11 ). Gli stessi idrovolanti del Trento e del Bolzano , lanciati tra le 08.55 e le 09.35 del 9 febbraio, effettuarono una ricognizione al largo della costa occidentale della Sardegna (ammarando poi a Cagliari al termine della missione), quindi completamente al di fuori della zona di operazioni delle navi inglesi. Le prime notizie sulla presenza della “Forza H” davanti a Genova giunsero a Supermarina tra le 07.40 e le 08.32; alle 09.00 (quando il bombardamento era ormai cessato) il Comando del dipartimento della Spezia informò Roma che era in corso un'azione navale contro Genova. Solamente alle 10.00 fu possibile far assumere rotta Nord al nostro gruppo navale ( 12 ) che – sino ad allora – aveva navigato verso ponente ritenendo, in assenza di informazioni, che le unità britanniche si trovassero ad Ovest della Sardegna. Le navi da battaglia Vittorio Veneto e Giulio Cesare (da bordo della quale la foto è stata scattata) in navigazione in linea di fila con mare agitato. Le navi italiane, giunte poco dopo le 13.00 a ponente della parte centrale della Corsica, accostarono per 30° (Nord/Nord-Est) in quanto alcune segnalazioni della ricognizione della Regia Aeronautica informavano sulla presenza di una portaerei e di altre unità maggiori nel Golfo Ligure indicando, peraltro, posizioni diverse (e nessuna delle quali sufficientemente precisa). Ne consegue che i messaggi provenienti dalla Regia Aeronautica erano quanto mai contraddittori, e va inoltre considerato il fatto che i velivoli informavano via radio il proprio Comando il quale – a sua volta – “girava” il messaggio a Superaereo: Superaereo informava quindi Supermarina che provvedeva, infine, a trasmettere l'informazione al Comando Superiore in mare. Questo complesso giro di messaggi (per di più cifrati, talvolta sopracifrati, e da decrittare ad ogni passaggio) tra Forze Armate e Comandi diversi rendeva quindi intempestive le segnalazioni dei ricognitori. Gli equipaggi dei velivoli, inoltre, non erano ancora stati addestrati per lo specifico compito della ricognizione marittima, manifestando di conseguenza gravi lacune nel riconoscimento delle unità (tanto nazionali quanto nemiche) e nel corretto apprezzamento dei loro elementi del moto ( 13 ). Alcuni bombardieri Br.20, attorno alle 13.00, individuarono e attaccarono le navi inglesi (peraltro senza danneggiarle), ma l'amm. Jachino non fu informato tempestivamente di questa azione in quanto gli equipaggi degli apparecchi mantennero il silenzio radio ed informarono i propri Comandi solamente al rientro. In precedenza (alle 11.40) un ricognitore CANT Z.506 della 287 a Squadriglia aveva avvistato la “Forza H” una quarantina di miglia a Nord-Ovest di Capo Corso, ma era stato abbattuto subito dopo dalla caccia dell' Ark Royal e l'equipaggio, recuperato nel pomeriggio da una torpediniera, poté far pervenire un rapporto di scoperta solamente nella tarda serata, quando il gruppo navale dell'amm. Jachino non aveva più la possibilità di avvicinare le unità inglesi. La nave da battaglia Vittorio Veneto all'ormeggio alla Spezia nel gennaio 1941. (coll. E. Bagnasco) L'ultimo “colpo” a questa catena di manchevolezze, eventi negativi e sfortunate coincidenze fu assestato dalla presenza, in zona, di un convoglio mercantile francese diretto da Marsiglia a Biserta e la cui rotta lo avrebbe portato a passare a Nord e – successivamente – ad Est della Corsica. Alle 15.24, una cinquantina di miglia a ponente di capo Corso, il Trieste avvistò le alberature delle navi da carico francesi e trasmise il segnale di scoperta alle altre unità italiane. Lo scontro con la “Forza H” sembrava imminente, al punto che sul Veneto (ad una distanza di 32.000 metri) il Direttore del tiro diede l'ordine di caricare i pezzi dell'armamento principale. Fu quindi grande la delusione degli equipaggi italiani quando – alle 15.48 – le unità francesi furono effettivamente identificate come tali ( 14 ): a nulla valse far accostare la squadra italiana per 270° dato che, a quell'ora, le navi britanniche, si trovavano ormai a grande distanza (molto al largo della costa francese, a Sud di Hyeres) e sarebbe stato impossibile raggiungerle, anche navigando alla massima velocità. Alle 18.00 l'amm. Jachino diede ordine di assumere rotta Nord e, un'ora dopo, la squadra della Regia Marina diresse per Est riducendo la velocità. Le navi italiane incrociarono nel Mar Ligure durante la notte; nel corso della mattinata del 10 febbraio, infine, Supermarina ordinò alle corazzate di far rotta su Napoli ed alla 3 a Divisione di rientrare a Messina. La nave da battaglia Giulio Cesare all'ormeggio a Napoli l'11 febbraio 1941 in procinto di salpare per La Spezia. La breve sosta delle corazzate italiane nel porto partenopeo era avvenuta nell'attesa che la base ligure fosse nuovamente agibile dopo il lancio di mine da parte degli aerei dell' Ark Royal (Coll. E. Bagnasco) Si concluse così, con un “nulla di fatto”, una delle più limpide occasioni mai occorse alla Regia Marina, nel corso di tutto il conflitto, per dare battaglia alla Royal Navy in condizioni di netta superiorità. Ai 14 pezzi da 381 mm e ai 24 da 152 mm ( 15 ) delle unità maggiori inglesi, si sarebbero difatti contrapposti 9 pezzi da 381 mm, 20 da 320 mm e 24 da 203 mm delle corazzate e degli incrociatori italiani; inoltre, considerati gli aspetti tattici dell'ipotetica azione di fuoco, la presenza dell' Ark Royal e dei suoi velivoli non sarebbe risultata – probabilmente – determinante. Con il bombardamento navale di Genova del 9 febbraio 1941, la “Forza H” compì una delle più audaci azioni della guerra navale nel Mediterraneo, degna delle migliori tradizioni della Royal Navy. Per le Forze Navali italiane si trattò, in buona sostanza, di una “occasione perduta” dovuta – in buona parte – alla scarsa cooperazione tra Marina e Aeronautica (per non parlare della mancanza di una vera e propria Aviazione di Marina), reale e più significativo “tallone d'Achille” di tutta la guerra navale italiana tra il 1940 e il 1943. Recupero di un proietto da 381 inesploso nell'area portuale di Genova. (Coll. A. Rastelli) Tuttavia, va anche rilevato il comportamento non certo combattivo manifestato dalla squadra italiana, al di là delle giustificazioni addotte dall'amm. Jachino nel dopoguerra ( 19 ); tutto ciò quando erano ben note le critiche di scarsa propensione all'offensiva mosse da quest'ultimo al suo predecessore Campioni. Peraltro, non bisogna disgiungere questi fatti dalle direttive che contraddistinsero tutta la nostra guerra navale, tese a preservare quanto più possibile l'integrità della squadra da battaglia – tanto per il mantenimento della “fleet in being” quanto essendo ben nota l'impossibilità di sostituire unità maggiori eventualmente perdute o anche solo danneggiate gravemente. Forse, anche per questi motivi l'operazione “Grog” – a torto – è stata considerata, talvolta, un evento di secondo piano, ma ancora più rilevante sarebbe stato, nel breve, il prosieguo della contrapposizione tra la Regia Marina e la Royal Navy. Poco meno di due mesi dopo, difatti, con rapporti di forza invertiti (e sulla base, va ricordato, di un' “intelligence” nemica che aveva in “ULTRA” il suo punto focale) lo scontro di Matapan tra unità italiane e britanniche ebbe purtroppo esiti del tutto opposti, come testimoniato dal sacrificio dei 2.303 uomini del Pola , dello Zara , del Fiume , del Carducci e dell' Alfieri ( 16 ) che persero la vita nel corso di quel breve combattimento, nella notte tra il 28 e il 29 marzo 1941. Maurizio Brescia - Associato e Collaboratore Storico della Società Capitani e Macchinisti Navali di Camogli La “Forza H” Durante la seconda guerra mondiale, e non soltanto per quanto riguarda il teatro del Mediterraneo, la Royal Navy identificò spesso i propri gruppi o “Forze” navali (“Forces”) secondo un metodo alfabetico. Nel tempo, ad esempio, operarono la “Forza K” (da Malta), la “Forza Q”, la “Forza Z” (in Estremo Oriente), la “Forza A”, ecc.; la “Forza H” fu costituita a Gibilterra verso la fine di giugno del 1940 per colmare il “vuoto” navale venutosi a creare nel Mediterraneo occidentale in seguito all'armistizio tra la Francia e l'Asse. Al vertice della “Forza H” fu destinato l'amm. Sir James Somerville al comando del quale, inizialmente, furono posti l'incrociatore da battaglia Hood , le corazzate Resolution e Valiant , la portaerei Ark Royal , incrociatori e cacciatorpediniere, tutte unità trasferite dalla Home Fleet. Ancorché di base a Gibilterra (sede di un Comando Superiore navale), la “Forza H” era un reparto autonomo, e l'amm. Somerville dipendeva direttamente dall'Ammiragliato di Londra; questa peculiare situazione era dovuta alla natura strategica della “Forza H” che – per la particolare posizione di Gibilterra – poteva essere chiamata ad operare flessibilmente, come in effetti avvenne, tanto in Atlantico quanto nel Mediterraneo. Una delle prime uscite operative della “Forza H” fu l'azione contro le navi francesi a Mers-el-Kebir (3/6 luglio 1940) ( 17 ). Unità della “Forza H”, che avevano nel frattempo sostituito parte di quelle originarie, furono presenti alla battaglia di Capo Teulada (27 novembre 1940), al bombardamento navale di Genova e alla ricerca della Bismarck (maggio 1941), andando inoltre a costituire la scorta di numerosi convogli in Atlantico e nel Mediterraneo tra il 1941 e il 1942. L' Ark Royal a marzo del 1939, in entrata a Portsmouth. La struttura cilindrica in testa d'albero alloggia un radiofaro “Type 72” per la guida degli aerei imbarcati. (Foto Wright & Logan) La “Forza H” operò attivamente nel corso degli sbarchi in Nord Africa del novembre 1942 (operazione “Torch”) e degli sbarchi in Sicilia e a Salerno dell'estate 1943 (operazioni “Husky” e “Avalanche”). Poco dopo l'armistizio fra l'Italia e gli alleati, venuta a cessare la minaccia costituita dalla flotta italiana, il Comando fu disciolto e le unità che ne facevano parte furono riassegnate alla Home Fleet ed alla Eastern Fleet della Royal Navy. L'ammiraglio Sir James Somerville (D.S.O., K.C.B., K.B.E., G.C.B., G.B.E.) Comandante della “Forza H” – luglio 1940 / marzo 1942 L'ammiraglio Sir James Somerville era preposto al comando della “Forza H” sin dalla sua costituzione nell'estate del 1940, e – a gennaio del 1941 – coordinò la pianificazione dell'operazione “Grog”, il bombardamento navale di Genova del 9 febbraio successivo. James Somerville era nato a Weybridge, nel Surrey, il 17 luglio 1882; nel 1897 entrò a far parte – come cadetto – della Royal Navy raggiungendo, nel 1904, il grado di sottotenente di vascello. Durante la prima guerra mondiale si specializzò nel campo delle radiotrasmissioni sino a diventare uno dei massimi esperti della Marina britannica in questa innovativa materia; capitano di fregata nel 1915, nel 1916 fu decorato con il Distinguished Service Order (D.S.O.) per il servizio prestato a Gallipoli e nei Dardanelli. Nel 1921 giunse la promozione a capitano di vascello e – in questo grado – seguirono numerose destinazioni di servizio: direttore dell'Ufficio Segnalamenti dell'Ammiragliato, aiutante di bandiera dell'amm. John D. Kelly, istruttore all'Imperial Defence College e comandante dell'incrociatore HMS Norfolk . Promosso commodoro nel 1932 e contrammiraglio (Vice Admiral) l'anno successivo, tra il 1935 e il 1938 fu il comandante delle Flottiglie ct. della Mediterranean Fleet. Nel 1939, prima del suo ritiro dal servizio attivo ( 18 ), all'atto del quale fu decorato con la nomina a Cavaliere dell'Ordine del Bagno (K.C.B.), fu il C. in C. del settore navale delle Indie Orientali con il grado di ammiraglio di divisione (Rear Admiral). Nel maggio del 1940 l'amm. Somerville fu richiamato in servizio, entrando inizialmente a far parte dello “staff” dell'amm. Bertram Ramsay che pianificò l'evacuazione del corpo di spedizione inglese da Dunkerque. Successivamente – a luglio – con il grado di ammiraglio di squadra (Admiral) gli fu assegnato il comando della “Forza H”, appena costituita a Gibilterra. In poco meno di due anni, Sir James Somerville portò più volte al combattimento la “Forza H”: Mers-el-Kebir (luglio 1940), Capo Teulada (novembre 1940), operazione “Excess” (rifornimento di Malta, gennaio 1941), bombardamento navale di Genova (febbraio 1941), caccia alla Bismarck (maggio 1941), operazione “Halberd” (un altro rifornimento di Malta, settembre 1941). Per i risultati ottenuti, alla fine del 1941 fu decorato con il cavalierato dell'Ordine dell'Impero Britannico (K.B.E.). L'ammiraglio Somerville sull'ala di plancia del Renown , nella tarda primavera del 1941. A marzo del 1942 l'amm. Somerville passò al comando della Eastern Fleet della Royal Navy, la cui base principale si trovava a Trincomalee nell'isola di Ceylon: seguì un lungo periodo dedicato al rafforzamento delle strutture logistiche ed operative della Flotta seguito – tra marzo e luglio del 1944 – da numerose operazioni contro capisaldi giapponesi nella zona (Isole Cocos, Sabang, Soerabaya e Sumatra). Ad agosto del 1944 fu rilevato al comando della Eastern Fleet dall'amm. Bruce Fraser e, nominato cavaliere di Gran Croce dell'Ordine del Bagno (G.C.B.), fu destinato a Washington con l'importante incarico di capo della Delegazione Navale inglese presso il Governo degli Stati Uniti. A maggio del 1945 Sir James Somerville fu promosso al grado di “Admiral of the Fleet” e, al momento del suo definitivo congedo dal servizio (1946) ricevette il cavalierato di Gran Croce dell'Ordine dell'Impero Britannico (G.B.E.). Ritiratosi a Dinder House (Wells) nel Somerset, morì il 19 marzo 1949. Note (1) Si veda: Hervieux, P.: Il bombardamento navale del 14 giugno 1940 , in “STORIA Militare” n. 110 (novembre 2002) (2) La Marina italiana si trovò infatti impegnata con direttrice Nord-Sud per il sostegno logistico del fronte libico, mentre l'attività della Marina britannica era indirizzata sul corso dei paralleli, con operazioni di rifornimento di Malta aventi come punti di partenza Alessandria o Gibilterra, e trasferimenti di unità navali tra queste due basi strategiche. (3) Si veda: Bagnasco, E.: Perdita e recupero della R.N. Conte di Cavour, in “STORIA Militare” n. 26 (novembre 1995) (4) Il “grog” è una sorta di “ponce” a base di rum, succo di limone ed acqua calda che a bordo delle navi britanniche – sino agli anni Settanta – costituiva uno dei generi di conforto più apprezzati dagli equipaggi. (5) In effetti, il Fearless non era attrezzato come capo squadriglia (flotilla leader), ma come capo sezione (divisional leader). Tuttavia, in mancanza di un'unità specificatamente equipaggiata per questo ruolo, operò come capo squadriglia nel corso dell'operazione “Grog”. (6) Non è noto il numero dei colpi da 152 mm tirati dalla Malaya . (7) Di fronte a Sampierdarena, ai giorni nostri semplicemente denominato “diga foranea”. (8) “. . . Il solo contrasto incontrato dalle navi bombardanti fu quello del tiro di una batteria da 152 mm (si trattava della Batteria “Mameli”, posta sulle alture di Pegli – n.d.r.) e del tiro c.a. diretto contro il velivolo osservatore del tiro. In entrambi i casi il tiro fu del tutto insufficiente. Tuttavia, durante una parte del bombardamento, fu disposto che i due ct. posti dal lato della costa facessero fuoco, sia per controbattere il tiro da terra sia per mascherare la composizione della forza bombardante . . . ”(da: Fioravanzo, G., Le azioni navali in Mediterraneo dal 10-VI-1940 al 31-III-1941 , pagg. 361-363 – op. cit. in bibliografia). L'osservazione del tiro fu effettuata da un “Walrus” dello Sheffield e da due “Swordfish” in versione idro del Malaya e del Renown . Lo stesso Sheffield provvedette, al termine dell'azione di fuoco, al recupero del proprio velivolo nonché di quello del Malaya ; lo “Swordfish” del Renown fu invece recuperato dalla portaerei Ark Royal . (Fonte: Macintyre, D., Fighting Admiral , pag. 111 – op. cit. in bibliografia). Il volume del Fioravanzo riporta invece che l'osservazione del tiro fu effettuata da uno “Swordfish” dell' Ark Royal che rientrò sulla portaerei al termine dell'azione di fuoco. A sua volta, M.A. Bragadin ( Il dramma della Marina Italiana – op.cit. in bibliografia, pag. 71) indica in tre il numero degli “Swordfish” della portaerei britannica che operarono su Genova durante il bombardamento. E' tuttavia probabile che la storiografia italiana sia piuttosto imprecisa sull'argomento, dato che – all'epoca della pubblicazione – gli autori dei due volumi citati non avevano ancora potuto prendere visione della ricordata opera del Macintyre e di altra documentazione di fonte britannica. (9) La maggior parte delle mine furono sganciate nei pressi dell'accesso di levante, anche se quello utilizzato all'epoca (come pure oggi) dalle unità in uscita era quello di ponente. Tuttavia, come vedremo più avanti, per maggior sicurezza nell'attesa del dragaggio degli ordigni, al termine dell'infruttuosa ricerca del nemico fu ordinato alle tre corazzate di dirigersi su Napoli. (10) Va ricordato che, per tutta la durata della guerra, nel territorio spagnolo confinante con Gibilterra fu attiva, con successo, una fitta rete di informatori e agenti della Regia Marina la cui opera – inoltre – fu particolarmente importante per il supporto di “intelligence” alle operazioni dei mezzi d'assalto italiani contro la base britannica. Si veda, in proposito: Pitacco, G.: La “X MAS” ad Algeciras e i mezzi “R” , in “STORIA Militare” n. 31 (aprile 1996). (11) Una volta nota l'uscita della “Forza H” da Gibilterra, Supermarina allertò i corrispondenti comandi della R.A. e – tra l'8 e il 9 febbraio – consistenti gruppi di velivoli furono utilizzati per la ricerca delle unità britanniche. La Regia Aeronautica impiegò 32 idrovolanti della ricognizione marittima: 20 Cant Z. 501 e 12 trimotori Cant Z. 506; ad essi vanno aggiunti i tre idroricognitori Ro.43 lanciati dalle unità italiane durante l'infruttuosa ricerca del nemico. La Ia Squadra aerea (Comando a Milano) Impiegò nove bombardieri Br. 20 e 2 caccia; la IIIa Squadra aerea (Roma) utilizzò 15 bombardieri Cant Z. 1007, un apparecchio dello stesso tipo attrezzato come ricognitore e sette caccia. Il comando R.A. della Sardegna impiegò 30 bombardieri S.79 ed otto ricognitori (4 Cant Z. 506 e 4 S.79); a questi aerei vanno aggiunti due ricognitori S.79 della IIa Squadra aerea (Palermo). Il X° CAT (Corpo Aereo Tedesco), di base in Sicilia con Comando a Catania, impiegò – per l'occasione – 53 bombardieri, 14 ricognitori e 18 caccia che, nel corso delle operazioni, si appoggiarono anche agli aeroporti della Sardegna. (12) Con una certa tempestività, il Comando Marina di Genova segnalò a Supermarina l'inizio del bombardamento navale, ma l'informazione fu ricevuta a bordo del Veneto soltanto poco prima delle 10.00, quando le navi britanniche si stavano ormai allontanando dal Golfo di Genova. (13) Sono purtroppo ben note le medesime manchevolezze che, a Punta Silo, portarono velivoli della R.A. ad attaccare unità navali nazionali, fortunatamente senza colpirle (è d'altro canto pensabile che il medesimo, scarso, risultato avrebbe potuto caratterizzare un attacco contro navi britanniche). (14) La rotta del convoglio era nota alla commissione armistiziale italo-francese, ma – probabilmente per l'assenza di contatti diretti tra quest'ultima e Supermarina – il Comando superiore in mare non fu avvertito di questo importante elemento “perturbatore” dell'apprezzamento della situazione. (15) Peraltro, è probabile che i 12 pezzi da 152 mm dell'armamento secondario della Malaya avrebbero avuto ben poche possibilità di essere utilizzati nel corso di un ipotetico scontro con le navi italiane. (16) A queste vittime vanno aggiunti anche i tre caduti dell' Oriani , che – pur non affondando – ricevette alcuni colpi nella zona dell'apparato motore. (17) Si veda, in proposito: Cernuschi, E., Mers-El-Kebir, 3 luglio 1940 (parti 1a e 2a) , in “STORIA Militare” n. 80 e 81 (maggio e giugno 2000). (18) Anche se per il “pensionamento” furono ufficialmente addotti motivi di salute, il collocamento a riposo fu forse dovuto anche ad un incidente “professionale” che, ad Aden, aveva visto l'HMS Norfolk , nave ammiraglia di Somerville, coinvolta in una collisione con una similare unità. (19) Jachino, A.: Tramonto di una grande Marina (op. cit. in bibliografia) Bibliografia AA.VV., Porto e aeroporto di Genova n. 6 – giugno 1978 , Genova C.A.P., 1978 AA.VV., Genova in guerra nell'ultimo conflitto mondiale , Genova, “Il Secolo XIX”, s.d. Bragadin, M.A., Il dramma della Marina Italiana , Milano, Mondadori, 1982 Burt, R.A., British Battleships 1919-1939 , Londra, Arms and Armour Press, 1993 Campbell, J., Naval Weapons of World War Two , Annapolis, U.S. Naval Institute Press, 1985 Cernuschi, E., Fuoco dal mare , supplemento alla “Rivista marittima”, maggio 2002 Clerici, C.A:, Le difese costiere italiane nelle due guerre mondiali , Parma, Albertelli Edizioni Speciali, 1996 Craighero, R., Domenica mattina ore 8.14, l'inferno arriva dal mare , in “Il Secolo XIX” del 9 febbraio 2003 Cunningham, A.B., A Sailor's Odyssey , Londa, Hutchinson & Co., 1951 Fioravanzo, G., Le azioni navali in Mediterraneo dal 10-VI-1940 al 31-III-1941 (vol. IV della serie “La Marina Italiana nella seconda guerra mondiale) , Roma, Uff. Storico della M.M., 1976 Giorgerini, G.: La guerra italiana sul mare , Milano, Mondadori, 2001 Jachino, A.: Tramonto di una grande Marina , Milano, Mondadori, 1959 Macintyre, D., Fighting Admiral , Londra, Evans Bros., 1961 Raven, A., Roberts, J., Ensign 4 – “Queen Elizabeth” class battleships , Londra. Bivouac, 1975 Raven, A., Roberts, J., Ensign 5 – “Town” class cruisers” , Londra. Bivouac, 1975 Raven, A., Roberts, J., Ensign 8 – Renown & Repulse, Londra. Bivouac, 1978.= IL BOMBARDAMENTO NAVALE DI GENOVA DEL 9 FEBBRAIO 1941 E IL MANCATO INTERVENTO DELLA FLOTTA ITALIANA Dopo il successo di Taranto dell'11 novembre 1940, conseguito dagli aerosiluranti Swordfish della portaerei britannica Illustrious che, alle dipendenze del Comandante in Capo della Mediterranean Fleet, ammiraglio A.B. Cunningham, avevano menomato la squadra da battaglia italiana di tre corazzate ( Littorio , Doria , Cavour , e costretto le altre tre unità superstiti ( Vittorio Veneto , Cesare e Duilio ) a riparare nei più sicuri porti del Tirreno, il viceammiraglio James Somerville, Comandante della “Forza H” di Gibilterra, aveva studiato la possibilità di bombardare dal mare i porti occidentali italiani. In particolare rivolse la sua attenzione a quello di Genova, dove appariva si trovasse in riparazione una corazzata della clsse “Littorio”, mentre in realtà era la ben più modesta Doria . Ottenuta l'approvazione dell'Ammiragliato britannico, l'azione, denominata operazione “Grog”, si concreto il mattino del 9 febbraio 1941, quando la “Forza H”, comprendente l'incrociatore da battaglia Renown , la corazzata Malaya , la portaerei Ark Royal , l'incrociatore leggero Sheffield e otto cacciatorpediniere ( Duncan, Isis, Fearless, Foxhound, Foresight, Fury, Encounter e Jersey ), si presentò davanti al porto di Genova, per poi disimpegnarsi, navigando nella rotta di ritorno tra la costa della Liguria e quella della Corsica, dopo un bombardamento di quaranta minuti, che soprattutto determinò gravi danni alla città, e in porto soltanto l'affondamento della nave scuola Garaventa e il danneggiamento dei piroscafi Salpi e Garibaldi. L'azione navale fu anche accompagnata da incursioni aeree su La Spezia e Livorno, realizzate dagli Swordfish dell' Ark Royal , che rispetto alle navi da battaglia impegnate nel bombardamento di Genova, si era temporaneamente spostata verso la costa della Toscana, accompagnata da tre cacciatorpediniere. Il movimento della flotta britannica, salpata nella notte sul 7 da Gibilterra simulando un'uscita in Atlantico, non aveva ingannato Supermarina, l'organo operativo dell'Alto Comando navale italiano, che era stato messo in allarme da informatori stanziati sulle coste spagnole. Tra le tante ipotesi fatte sugli intendimenti e i probabili obiettivi del nemico, fu tenuta presente anche l'eventualità che la “Forza H” potesse spingersi nel Golfo Ligure. Questa ipotesi divenne certezza la sera dell'8 febbraio, in seguito all'arrivo di varie informazioni, ricevute anche da fonte che non siamo stati in grado di accertare, ma che probabilmente provenivano dalla Francia di Vichy, i cui aerei, nella giornata dell'8 febbraio, avevano in due occasioni avvistato la “Forza H” nel Golfo del Leone, in spostamento verso nord-est. Supermarina, che aveva fatto salpare da Messina la 3^ Divisione Navale (ammiraglio Luigi Sansonetti), costituita dai tre incrociatori pesanti Trieste, Trento, e Bolzano e dai tre cacciatorpediniere Corazziere, Carabiniere e Camicia Nera , per trasferirla a Genova come misura precauzionale in vista del fissato incontro dell'11 febbraio tra il Capo del Governo italiano, Benito Mussolini, e il capo della Spagna, generalissimo Francisco Franco – incontro che gli inglesi avrebbero potuto rovinare con un'azione spettacolare e di notevole effetto psicologico – ritenne inizialmente che il nemico avrebbe potuto attaccare obiettivi sulle coste occidentali della Sardegna, come era stato fatto il precedente 2 febbraio, quando gli aerei della “Forza H” avevano tentato di colpire la diga idroelettrica del fiume Tirso. Pertanto Supermarina aveva preso la precauzione di tener pronta a salpare la Squadra Navale concentrata a La Spezia e comprendente le tre corazzate Vittorio Veneto , Cesare e Doria , con sette cacciatorpediniere di scorta: Maestrale, Libeccio, Grecale, Scirocco. Granatiere, Fuciliere e Alpino. Tenendo in considerazione la duplice possibilità che il nemico potesse attaccare la Sardegna o Golfo Ligure, l'Organo Operativo dell'Alto Comando Navale decise di inviare, per il mattino del giorno 9, le tre corazzate a operare a ponente dell'Isola Asinara, facendole ricongiungere in quella zona della Sardegna nord-occidentale con i tre incrociatori della 3^ Divisione Navale provenienti dal Tirreno, attraverso lo Stretto di Bonifacio. In tal modo la Squadra Navale dell'ammiraglio Angelo Iachino (3 corazzate, 3 incrociatori pesanti e 10 cacciatorpediniere), “opportunamente dislocata sulla linea di ritirata del nemico dal Golfo Ligure”, come scrisse nel dopoguerra l'ex Comandante della Marina Germanica in Italia, ammiraglio Eberhard Weichold (1), si sarebbe venuta a trovare in buona posizione per fronteggiare la “Forza H” (2 corazzate, 1 portaerei, 1 incrociatori leggero e 7 cacciatorpediniere), se essa avesse minacciato la Sardegna , e in condizioni veramente ideali per intercettarla, tagliandole la rotta della ritirata, se quella flotta britannica si fosse spinta, com'era ritenuto possibile, nel Golfo Ligure. L'ordine operativo diramato da Supermarina era al riguardo molto preciso, fissando per la Squadra Navale una rotta di spostamento dal Golfo dell'Asinara verso levante (270°), fino a raggiungere il 6° meridiano est, in attesa che le ricognizioni del mattino – svolte tra la Sardegna e le isole Baleari da idrovolanti Cant Z. 506 della Ricognizione Marittima, coadiuvati da velivoli terrestri S. 79 della Regia Aeronautica e da Ju. 88 del X Fliegerkorps – avessero dato notizie della “Forza H”. Se ciò non fosse avvenuto, l'intera Squadra Navale doveva raggiungere per le ore 13.30 del 9 febbraio la posizione lat. 42°40'N, long. 07°40'E, corrispondente a 100 miglia ad ovest di Capo Corso, e quindi all'estremità nord-occidentale della Corsica, per attaccare le navi britanniche che nel corso della notte avessero diretto, senza essere state avvistate, verso il Golfo di Genova, ove erano state messe in stato di “ allarme ” preventivo le difese mobili e fisse della Liguria e dell'Alto Tirreno. Ma invece di attenersi alle istruzioni ricevute, e dirigere con la Squadra verso il 6° meridiano est, l'ammiraglio Iachino, essendo stato avvertito nella notte da Supermarina che la zona del Tirso era “ in allarme ” – segnalazione poi annullata senza che il Comandante in Capo della Flotta ne fosse stato informato – per uno dei suoi soliti errori di valutazione variò la rotta delle navi per sud-est (230°); manovra che poi giustificò (soprattutto nei suoi famosi scritti del dopoguerra, da taluni tanto apprezzati) con l'affermazione, assolutamente arbitraria, che la trasmissione ricevuta da Supermarina indicava che il Tirso era in “ allarme aereo ”. Ragion per cui, egli affermò, era lecito pensare che la flotta nemica dovesse trovarsi al largo della Sardegna, e in una posizione situata a sud-est della flotta italiana. Pertanto, quando alle 09.00 del 9 arrivò con molto ritardo la prima segnalazione che indicava essere in corso l'attacco contro Genova – disservizio dovuto ad incresciosi equivoci e lentezza nella trasmissione degli avvistamenti del nemico da parte dei locali comandi di Marina e a cui si aggiunsero ritardi causati dallo stato di incertezza sul da farsi creatosi a Supermarina – seguito dall'ordine impartito al Comando della Squadra navale di dirigere verso nord, le navi dell'ammiraglio Iachino si trovavano arretrate di circa 30 miglia rispetto al previsto. Pertanto, sebbene avessero poi navigato ad alta velocità, la squadra italiana non riuscì a raggiungere in tempo la posizione prefissata a 100 miglia a ponente di Capo Corso per sbarrare al nemico la ritirata dal Golfo Ligure. Nel frattempo si erano verificati una serie di incredibili errori di carattere informativo nell'ambito della Regia Aeronautica. I suoi velivoli non solo ritardavano le partenze, dopo l'allarme scattato in seguito all'avvistamento delle navi britanniche – dapprima ad opera del peschereccio della difesa foranea Gena 4 , che avvistò la flotta nemica al largo di Portofino, allarme poi trasmesso anche dall'osservatorio del Righi, che individuò la “Forza H” mezzora prima che avesse avuto inizio l'azione contro Genova - ma commisero anche una serie di errori grossolani. Infatti gli equipaggi di due formazioni di bombardieri, la prima di dieci “S. 79” del 30° Gruppo del 10° Stormo, decollati da Viterbo al comando del maggiore pilota Roberto Liberi, e la seconda di cinque S. 79 e del 27° Gruppo dell'8° Stormo, decollati da Alghero al comando del tenente colonnello Piero Marino, sganciarono, rispettivamente, le loro bombe contro le sette navi mercantili del neutrale convoglio francese CN 4, transitante a ponente di Capo Corso, e contro due Mas italiani ( Mas 510 e 525 ), individuati a sud di La Spezia. In entrambe le occasioni, gli equipaggi degli S. 79 ritennero trattarsi di navi britanniche. I due Mas nazionali, attaccati da una quota di 5.000 metri , furono addirittura scambiati dagli equipaggi del 27° Gruppo per una corazzata ed una portaerei. Questa valutazione fu poi rettificata al rientro alla base con due incrociatori, uno dei quali, secondo la documentazione fotografica scattata nell'occasione, sembrava essere stato colpito da una bomba, mentre in realtà le piccole unità italiane non riportarono alcun danno. Quest'ultima azione, contro i Mas italiani, ebbe poi effetto estremamente deleterio sull'attività delle unità aeree tedesche del X Fliegerkorps, che nelle prime ore del pomeriggio inviò ventuno Ju. 88 del 1° Stormo Sperimentale (LG.1), trenta Ju. 87 del 3° Stormo Stuka (St.G.3), e diciotto Bf.110 del 3° Gruppo del 26° Stormo Caccia Pesante (III./ZG.26), ad attaccare la nave portaerei e la nave da battaglia , segnalate in volo dagli S.79 del tenente colonnello Marino. Ma poiché a nord della Corsica non vi erano navi britanniche, e durante il volo non giunse nessuna comunicazione che potesse orientare sul nemico una nuova rotta d'attacco, i velivoli tedeschi non rintracciarono alcun obiettivo. Rientrati alla base, gli equipaggi del X Fliegerkorps giustificarono il mancato incontro con le pessime condizioni di visibilità riscontrate nel Golfo Ligure, dove nel frattempo i velivoli da caccia della portaerei Ark Royal , effettuando una efficace vigilanza, erano riusciti ad abbattere due aerei da ricognizione italiani, prima che dessero il segnale di allarme sulla presenza della “Forza H”. Quando poi, alle 16.00, arrivò la segnalazione d'avvistamento delle navi britanniche a ovest di Tolone, per opera di un velivolo tedesco Ju. 88 della 1^ Squadriglia ricognizione Strategica (1(F)/121), era ormai troppo tardi per poter nuovamente intervenire prima del tramonto del sole. Ma accadde anche di peggio ai velivoli “Br. 20” del 43° Stormo (colonnello Luigi Questa), appartenenti alla 1^ Squadra Aerea, e decollati dagli aeroporti della Valle Padana, che per ben quattro volte erano riusciti ad avvistare la flotta britannica a sud di Imperia. Due aerei, guidati dal comandante del 98° Gruppo (tenente colonnello Ivo De Vittembeschi), avendo chiaramente individuato la portaerei Ark Royal , attaccarono regolarmente senza colpire il bersaglio, ma poi mancarono di trasmettere in volo il segnale regolamentare di avvistamento. Altri sette velivoli dell'98° e 99° Gruppo individuarono le navi britanniche in tre occasioni, ma non trasmisero alcuna segnalazione d'allarme perché gli equipaggi dei Br. 20 ritennero si trattasse della flotta italiana che, dalle informazioni ricevute alla partenza dalle basi, sapevano dovesse trovarsi in quella zona. Nonostante questi gravissimi imperdonabili contrattempi e il cumulo degli errori che si erano verificati durante la mattinata, trascorsa per gli Alti Comandi italiani in uno stato psicologico di attesa angosciante, la Squadra Navale dell'ammiraglio Iachino, seguendo rotta nord, aveva ancora la possibilità di intercettare il nemico in condizioni potenziali e numeriche favorevoli. Essa infatti poteva affrontare la “Forza H” in una zona, tra le coste della Provenza e quelle della Corsica, che si trovava distante ben 700 miglia da Gibilterra, e sotto il controllo dell'aviazione italiana, ciò che avrebbe reso difficile agli inglesi di salvare eventuali navi danneggiate. Purtroppo la notizia della presenza del convoglio francese CN 4, che poi sarebbe stato attaccato dall'Aeronautica, e che era stato avvistato alle 10.00 da un ricognitore “S.79” a 75 miglia a nord-ovest di Capo Corso, fu ricevuta e ritrasmessa da Supermarina come formazione di navi da guerra. Quella notizia risultò particolarmente deleteria, per l'ammiraglio Iachino il quale, avendo variato la rotta delle sue navi per nord-ovest, e avendo pertanto assunto la giusta direttrice per intercettare la “Forza H” all'altezza di Tolone, fu portato a ritenere che il nemico stesse percorrendo una rotta prossima alle coste occidentali della Corsica. Pertanto prese l'illogica decisione di dirigere per nord-nordest (30°), ed in tal modo, andando in direzione inversa a quella seguita dal nemico, perse la possibilità di intercettare la “Forza H” che, intorno alle 13.30, dirigendo verso occidente, transitò ad appena 30 miglia di distanza, sulla sinistra della flotta italiana. A questa confusa situazione, si aggiunse inoltre l'avvistamento dei cacciatorpediniere britannici Jupiter e Firedrake , che erano stati lasciati dall'ammiraglio Somerville a levante delle Isole Baleari per fare da esca all'attenzione degli italiani, sviandola dal Golfo Ligure, in cui realmente si trovava la “Forza H”. Scopo che fu pienamente raggiunto dai britannici, perché l'avvistamento delle due navi di scorta, segnalato il mattino del 9 febbraio da un ricognitore Cant Z. 506 della 287^ Squadriglia della Ricognizione Marittima (capitano pilota Remo Ribolla, sottotenente di vascello osservatore Antonio Bagaggiolo) come “formazione navale considerevole”, determinò l'invio nella zona delle Baleari di venti bombardieri S. 79 del 32° Stormo, decollati da Decimomannu (Sardegna), che però non riuscirono ad avvistare il modesto obiettivo. Il fallimento delle operazioni aeree, irritò giustamente il generale Francesco Pericolo, Capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica, che espresse tutta la sua delusione inviando ai Comandanti delle Grandi Unità Aeree un severo “richiamo”, accusando apertamente i reparti di aver “dato evidente prova di impreparazione, con conseguenti risultati scadentissimi”, e minacciando di prendere nei confronti dei Comandanti l'esonero “dalle loro funzioni”, se si fossero ripetuti analoghi episodi,. Il mediocre comportamento della Regia Aeronautica nella giornata del 9 febbraio 1941 fu ancora più duramente contestato nel dopoguerra dal generale Giuseppe Santoro, che in un suo famoso libro (“L'Aeronautica italiana nella seconda guerra mondiale”) sostenne: “Le segnalazioni dei ricognitori furono scarse e tardive, le Unità dipendenti mancarono di tempestività e di spirito di iniziativa”, e “Comandi di Squadra, reparti ed aliquote di reparti” non dettero prova “di organizzazione, di preparazione e di iniziativa”. Da parte sua, Supermarina si giustificò presso Mussolini con il Promemoria n. 34, affermando che il mancato contatto con la flotta inglese era da addebitarsi a due fattori sfavorevoli che si erano sovrapposti: le cattive condizioni atmosferiche, che avevano impedito all'aviazione di fornire dati sul nemico abbastanza precisi; la tardiva diramazione dei messaggi di scoperta da parte delle stazioni ubicate sulla costa ligure, che aveva fatto sì che la squadra navale italiana dirigesse a nord con un'ora e mezzo di ritardo. Non sappiamo se e quanto Mussolini rimase soddisfatto delle giustificazioni di questo documento di Supermarina, presentatogli dal Capo di Stato Maggiore ammiraglio Arturo Riccardi, che tra l'altro taceva del tutto sulla poco oculata manovra iniziale dell'ammiraglio Iachino al largo dell'Asinara. Nel promemoria si arrivava perfino a giustificarla, tanto che scrisse poi Riccardi allo stesso Comandante in Capo della Flotta: “L'operazione è stata condotta con giusti criteri sulla base di un razionale apprezzamento della situazione desunto dalle notizie pervenute”. Ben più obiettivo si sarebbe poi mostrato nell'immediato dopoguerra l'ammiraglio Romeo Bernotti, che nel suo libro “Storia della guerra nel Mediterraneo”, addebitò all'ammiraglio Iachino la responsabilità maggiore sul mancato incontro della flotta italiana con la “Forza H”, scrivendo: “Nella ricerca del nemico era mancato il coordinamento nell'impiego delle varie specie di mezzi, ed era stata trascurata [evidentemente da Iachino – N.d.A.] l'ipotesi più semplice, ossia che la Forza H dopo il bombardamento di Genova avesse riunito le navi seguendo la rotta per uscire il più rapidamente possibile dall'Alto Tirreno”. Manovra che non era riuscita proprio perché l'ammiraglio Iachino, invece di proseguire verso Tolone, si era fatto sviare verso le coste occidentali della Corsica, per ricercare l'innocuo convoglio francese CN 4. Il 27 febbraio 1941, nel clima di nervosismo e di completa delusione che si era andato sviluppando per il mancato incontro con la Forza H , e nella ricerca delle giustificazioni, l'ammiraglio Riccardi, sempre difendendo il discutibile operato di Supermarina e dell'ammiraglio Iachino, contestò formalmente alla Regia Aeronautica e ai Comandi di Marina La Spezia e di Marina Genova, i ritardi con cui erano state diramate le informazioni e le trasmissioni radio, che avevano avuto indubbiamente gravi ripercussioni per l'impiego delle forze navali in mare. Con ciò Riccardi, addebitando ad altri anche le proprie responsabilità e quelle degli uomini del suo Comando (in particolare del Sottocapo di Stato Maggiore, ammiraglio Inigo Campioni che aveva diretto da Roma tutta l'operazione), stabilì definitivamente quella che sarebbe stata la linea difensiva ufficiale di Supermarina, da difendere ad ogni costo, riguardo alle responsabilità oggettive del mancato contatto navale con la flotta britannica. Restano, ancora oggi, la delusione e il rincrescimento per come fu condotta l'operazione da parte italiana, perché non fu colta la forse più grossa occasione favorevole del primo anno di guerra. Se l'intercettazione della Forza H fosse avvenuta e quest'ultima avesse subito sensibili perdite – come era nelle possibilità della flotta italiana, fortemente appoggiata dalle due aviazioni dell'Asse – ciò avrebbe incoraggiato moralmente le successive operazioni della flotta italiana. Nello stesso tempo un combattimento finito male, avrebbe finito per influenzare la strategia britannica nel Mediterraneo. Questa sarebbe stata, con ogni probabilità, riveduta da Londra, e forse non ci sarebbe stato per gli italiani il successivo disastro del 28 marzo 1941, nella battaglia di Capo Matapan. Tuttavia occorre anche chiederci: avrebbe tutto ciò modificato l'andamento della guerra nel “mare nostrum” e, soprattutto, il suo e esito finale? Occorre infine dire che i britannici furono coloro che più di tutti si meravigliarono di non essere stati contrastati dagli italiani, nell'attuazione della loro impresa che, secondo alcuni loro storici navali, fu concepita dal viceammiraglio Sommerville con una determinazione e un audacia che possono apparire quasi di natura incosciente. In realtà la pianificazione e la realizzazione dell'operazione “Grog” derivò da un accurato apprezzamento della situazione, e dalla volontà di far male agli italiani, svalutandoli maggiormente nelle loro capacità combattive, proprio nel momento in cui, a Bordighera, stava per iniziare l'incontro tra Mussolini e il generalissimo Franco che, come temeva Londra, avrebbe potuto portare l'entrata in guerra della Spagna a fianco delle potenze dell'Asse. Come si sa la Spagna non entro in guerra, ma è da chiederci cosa avrebbe fatto Franco se si fosse verificato per i britannici una sconfitta, se non un disastro, causata alla “Forza H” di Gibilterra dall'intervento flotta italiana. I benefici effetti morali che derivarono nel Regno Unito dal bombardamento di Genova, in netto contrasto con il pessimismo verificatosi negli ambienti italiani, sono stati magistralmente sintetizzati nella monumentale opera “Mediterranean and Middle East”, diretta dal generale I.S.O. Playfair, nel modo che segue: “Effettivamente fu rimarchevole che una flotta inglese, senza nessuna probabilità di salpare inosservata dalla sua base, potesse infilarsi nell'estremo lembo settentrionale del golfo di Genova, infliggendo danni e tornare senza essere stata attaccata. Ancora una volta la buona fortuna aveva assistito un piano audace accuratamente preparato e risolutamente condotto… Molto serio fu il colpo al morale italiano, già scosso dai rovesci in Albania e Cirenaica, poiché si ebbe l'impressione che nessun porto era al sicuro da attacchi. Essa mostrò anche che gli inglesi non avevano intenzione di accettare supinamente l'arrivo della Luftwaffe in Mediterraneoe che i guai per l'Italia erano tutt'altro che finiti”. Francesco Mattesini |